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Papa Francesco in Terra Santa

L’invito del pontefice a ospitare i leader israeliano e palestinese in Vaticano è un primo segno di “successo” del viaggio in Terra Santa. L’incontro che si terrà forse in giugno sarà un incontro “di preghiera”. Papa Francesco crede alla forza dell’invocazione: per abbattere muri, per affrettare la venuta della giustizia, per rendere reale il “sogno” di due Stati sicuri e amici. L’unità dei cristiani – realizzata con la preghiera e il dono di sé – dà speranza al mondo. Per questo, il centro del viaggio non è stato la politica, ma l’abbraccio fra Francesco e Bartolomeo.

Roma (AsiaNews) – Papa Francesco è già ritornato dal suo viaggio in Terra Santa, ma le immagini e i gesti da lui compiuti sono dei semi che potranno dare frutto nel tempo.

Già l’invito che Francesco ha rivolto a Shimon Peres e a Mahmoud Abbas, di ospitarli “a casa sua” in Vaticano per un incontro di preghiera per la pace fra Israele e Palestina è una pietra miliare in questo pellegrinaggio. E il fatto che il presidente israeliano e il suo omologo dell’Autorità palestinese abbiano subito accettato suggerisce già di una goccia di successo insperato per questo viaggio.

Gli esperti di politica potrebbero ridere di questo invito: la preghiera per la pace fra Israele e Palestina? Dopo tante preghiere del passato? E dopo tutti i fallimenti dei dialoghi politici, voluti da personalità molto più potenti di Francesco, i vari Clinton, Bush, Obama? Su quale base razionale si può sperare nella ripresa del dialogo mentre ogni giorno si accumulano ostacoli da una parte e dall’altra, mentre Israele moltiplica le colonie nei territori occupati e a Gerusalemme est, e mentre nessun palestinese accenna a voler garantire la sicurezza di Israele?

Il papa ha detto che l’idea di due Stati, Israele e Palestina, non deve rimanere un sogno, ma diventare una realtà. Ma in molti si chiedono se non è proprio la speranza di pace ad essere il sogno vano e impossibile e che ormai bisogna accontentarsi soltanto di brevi tregue e di temporanei cessate-il-fuoco prima che l’incendio della guerra divampi nella regione già così infuocata.

Insomma, il valore “politico” della preghiera appare davvero minimo.

Eppure due immagini delle tante si stampano nel cuore e nella mente: la carezza e la preghiera che papa Francesco ha fatto toccando due muri: quello “del pianto” (il Muro occidentale del tempio) e quello che divide Betlemme da Gerusalemme, il cosiddetto “muro della vergogna”. Il pontefice si è avvicinato al primo e dopo averlo accarezzato in silenzio, ha infilato la preghiera del Padre Nostro fra le fessura delle pietre antiche, vicino al cuore del Santo dei santi. Anche a Betlemme è avvenuto lo stesso: con un gesto improvviso e fuori programma, il papa si è avvicinato alla barriera vicina alla Tomba di Rachele e ha accarezzato quel muro che provoca tante divisioni, morti e umiliazioni fra i palestinesi e gli israeliani. In entrambi i casi, la mano che accarezzava attendeva la venuta del Messia, l’Unico che può portare la pace. Allo stesso tempo, quella mano spingeva perché questa venuta si affrettasse. Il valore “politico” della preghiera è tutto qui: nel lasciare a Dio lo spazio per agire e nell’essere davvero coinvolti con quanto si domanda. In tal modo, l’uomo che chiede diviene il primo segno che l’invocazione si sta realizzando, a partire dal proprio cuore.

Sta qui anche la forza dell’invito del papa ai due presidenti, di accoglierli in “casa sua”: offrire la propria casa significa mettere a disposizione se stessi, il proprio tempo, la propria vita per generare nell’altro la stessa disponibilità. Tutto questo è un giudizio sul modo in cui sono stati condotti i dialoghi “politici” fra Israele e Palestina fino ad ora: dicendo a parole una cosa e facendone un’altra alle spalle, consumando la fiducia reciproca, fino a giungere alla paralisi e alla cancrena dei nostri giorni.

La preghiera del papa – e lo ha ripetuto in molti discorsi – dice che la pace è possibile a condizione di coinvolgersi in modo completo, di giocare la vita e non solo il progetto politico finalizzato alla propria vittoria. Solo a questa condizione la paralisi e la cancrena – a cui sembra destinata ormai tutta la politica internazionale – potranno guarire: riconoscendo che il Dio di tutti – musulmani, ebrei, cristiani – verrà e implicandosi nell’affrettare la sua venuta.

In questo lavoro è fondamentale l’unione dei cristiani. Il centro di questo pellegrinaggio è stato l’abbraccio fra Francesco e Bartolomeo, fra la Chiesa d’occidente e d’oriente. Anche qui vi sono tanti “muri” posti da quella o quell’altra confessione, prima fra tutti la Chiesa ortodossa russa. Qualcuno potrebbe dire che l’incontro al Santo Sepolcro fra i successori di Pietro e Andrea sia stato un intermezzo spirituale fra tanti gesti “politici”. In realtà al sepolcro è avvenuto lo spostamento, la caduta del primo e più importante muro, quello della morte. Come ha dichiarato Bartolomeo, l’amore scaccia ogni timore e i cristiani che si amano diventano “un esempio per il mondo intero”. Gli ha fatto eco papa Francesco: “Non lasciamoci rubare il fondamento della nostra speranza! Non priviamo il mondo del lieto annuncio della Risurrezione!”.

fonte: asianews.it


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